Storia Zona Franca

Nel 1720, lo Stato chiamato Regno di Sardegna nato nel 1420 con capitale Cagliari che, durante il lungo periodo spagnolo e il breve austriaco s’identificava con tutta l’Isola, fu assegnato ai Savoia.

Con l’accettazione di malavoglia dei Savoia, che assunsero il titolo di Re di Sardegna, divenne uno Stato composto, federato con il Principato di Piemonte, col Ducato di Savoia e con la Contea di Nizza.

Tutta la federazione si chiamò Regno di Sardegna, sempre con capitale Cagliari, pur divenendo Torino, sede della Corte e del Governo , la città centro dell’effettivo potere politico e militare.

Durante l’occupazione napoleonica del Piemonte il Regno di Sardegna s’identificò ancora una volta col solo territorio dell’Isola e fu per quindici anni – dal 1799 al 1814 – sede del Governo e della Corte sabauda .

Si potrebbe osservare che pur governata da una dinastia straniera , solo in questo periodo il Regno di Sardegna e quindi tutta la Sardegna ed i sardi furono veramente indipendenti e riconosciuti internazionalmente come tali.

A Cagliari risiedeva la Corte ed il Governo ed erano presenti le ambasciate di tutti gli Stati che avevano rapporti diplomatici col Regno sardo.

La famiglia reale, solo dopo la prigionia di Napoleone all’Elba, ritornò sulla terraferma per proiettarsi, con Carlo Alberto di Savoia-Carignano, verso l’avventura risorgimentale.

Il Regno sino al 1847 aveva confini, parlamenti, forze armate e di polizia, leggi , tribunali, fiscalità, dogane e moneta propri e per entrare ed uscire dai suoi confini bisognava munirsi di passaporto.

Il 3 dicembre 1847, in conseguenza della “perfetta fusione” finì la federazione e lo Stato divenne unitario o semplice.

La “Fusione perfetta” del 1847 fu voluta dalle classi dirigenti dell’epoca, nobili e borghesi compradores, prevalentemente cittadini e di Cagliari in particolare, emporio e testa di ponte del colonialismo.

Abilmente pilotati dai piemontesi e spesso ancora d’origine iberica o di recente immigrazione piemontese e sopratutto del Capo di sotto, speravano nella migliore delle ipotesi con questo mezzo, di migliorare le condizioni dell’Isola ed avvicinarla all’Europa.

Allora non mancarono i contrari ma soprattutto coloro che vollero con forza la Fusione si pentirono amaramente solo pochi anni dopo, dichiarando pubblicamente di aver commesso un grave errore, a fronte del comportamento dei regnanti e dei governi piemontesi, che trattarono sempre la Sardegna come una colonia fastidiosa, cercando di cederla ora agli inglesi, ora ai francesi, attenti solo ai loro disegni di espansione continentale del Regno e sfruttandola sempre al massimo, in forza anche della cancellazione “degli antichi privilegi” e del protezionismo continentale.

Subito dopo la “fusione” del 1847 si sviluppò in Sardegna una richiesta corale per il ristabilimento dell’antica Autonomia isolana, e i cosiddetti “antichi privilegi” in economia, che permettevano fra l’altro la libera esportazione del vino, dell’olio, del grano, del bestiame e la distillazione del vino e particolari tariffe sarde per il sale, i minerali e tanti altri prodotti.

Anche i beni importati godevano prima della “fusione” di tariffe particolari e tutte sarde che permettevano di scegliere sul mercato internazionale quelli più vantaggiosi.

Le tariffe imposte nel 1887 e le guerre doganali, soprattutto con la Francia, resero impossibili le esportazioni e imposero l’acquisto di importazioni provenienti dalla penisola e sopratutto dal suo Nord, volute dal Governo italiano anche se a prezzi maggiorati rispetto a quelli europei. Si aggravò a dismisura la già pesante crisi economica della Sardegna ed il suo sottosviluppo, accrescendo le proteste e le rivendicazioni di un’Autonomia doganale.

Alla commissione d’inchiesta Pais-Serra venne indirizzata nel 1896 una serie di proposte fra le quali quella dell’economista Giusepe Todde che in un suo lavoro prevedeva che “..la Sardegna per vent’anni governata come una parte amministrativamente distinta dal Regno d’Italia, porto franco del Mediterraneo, sopprimendo ogni dazio esterno di dogana, in modo che potesse indipendentemente da ogni trattato di commercio, esportare liberamente tutti i suoi prodotti e ricevere tutte le merci di qualsiasi provenienza”.

Inoltre sarebbe stati soppresso il monopolio del tabacco e le imposte di fabbricazione sull’alcol e altri generi, ridotte le tariffe ferroviarie e marittime, unificati l’ufficio del registro e il catasto.

Si richiedeva anche di dare alla Sardegna qualche forma di Autonomia ma che avrebbe richiesto la modifica dello Statuto del Regno e quindi in generalmente ritenuta irraggiungibile.

La proposta di Sardegna franca non ebbe alcun seguito come risibili furono i risultati dell’inchiesta ma da allora s’iniziò a progettare la colonna portante della rivendicazione autonomistica in campo economico con evidenti risvolti politici che vennero esplicitati in seguito dal Gruppo d’azione e propaganda antiprotezionistico animato da Attilio Deffenu e dalla sua rivista Sardegna, prima della Grande guerra e al quale aderì il giovanissimo Gramsci nel periodo del suo “a mare i continentali”.

Deffenu già prima della guerra denunciava “il mostruoso sistema amministrativo-tributario-doganale” che poteva prosperare perché nella giovane generazione non esiste il senso vivo della questione sarda, non esiste, scrisse, una coscienza radicalmente, fortemente regionale, vaticinando che solo quando sarebbe esistita una coscienza sarda si sarebbe potuto avere una netta visione della Sardegna operante la sua rinascita non più per interventi speciali o di favore ma per la sua conquistata autonomia.

Deffenu volontario interventista, maturò prima di cadere giovanissimo in battaglia, una più completa visione che potremmo oggi definire nazionalista sarda, diffondendo questa coscienza unitaria per la prima volta nella moderna storia della Sardegna fra i soldati e gli ufficiali sardi come ufficiale addetto alla propaganda della brigata composta esclusivamente da sardi.

Ed è proprio nel maggio del 1918 a guerra ancora in corso, fu pubblicato l’opuscolo di Umberto Cao intitolato “Per l’autonomia” che rilanciò l’idea dell’autogoverno autonomistico trovando poi terreno fertilissimo fra i militari della Brigata Sassari.

Solamente dopo la prima guerra mondiale, con l’emergere dell’autonomismo dei reduci della Brigata Sassari e del primo sardismo, si fece un tentativo di ripristino degli antichi Istituti franchi attraverso l’idea dei Porti franchi che venne poi meglio definito dai sardisti nel secondo dopoguerra.

Egidio Pilia, sardista passato nel 1923 al fascismo come tanti che parteciparono al fenomeno del sardo-fascismo e che poi da esso fu perseguitato, pubblicò nel 1920 l’opuscolo “l’Autonomia sarda, Basi, limiti e forme” che rappresenta la prima valida proposta di corpo giuridicamente concreto ed organico di Autonomia sarda.

La sua proposta fu meglio caratterizzata nel 1921 nel successivo opuscolo “ L’Autonomia doganale”, sistematizzando e dando gambe concrete alla tradizionale richiesta di Istituti franchi per la Sardegna.

Nel primo dopoguerra si deve invece all’economista Paolo Pili, sardista passato anch’esso al fascismo e poi da questo espulso ed emarginato, la ripresa ( come già ricordato da Egidio Pilia ) dell’idea lanciata nell’ottocento per Cagliari dal generale Alberto Lamarmora che auspicava “ un grande Porto franco, aperto alle grandi correnti del commercio mondiale”.

Paolo Pili ideò come istituto franco moderno il progetto di “ far diventare il porto di Cagliari un grande porto di smistamento per il traffico mediterraneo e far sorgere lungo il canale industriale dello stesso porto una serie di stabilimenti per la produzione di almeno i semi-lavorati con le materie prime di produzione isolana”.

La proposta presentata a Mussolini venne diluita e trasformata nella legge del 1928 ed in tale occasione assieme ad altri quattordici porti italiani , il Porto franco di Cagliari venne autorizzato ad applicare per trent’anni franchigie parziali e totali.

La proposta di Paolo Pili, pensata e progettata per la realtà sarda, proprio per essere stata estesa ad altri quattordici porti italiani non ebbe, soprattutto per Cagliari, nessuna applicazione.

Dopo il fallimento di questa iniziativa legislativa venne abbandonata dal Governo fascista la linea dei porti franchi per ripiegare nel 1938 sui punti franchi oggi testimoniata, per la sua parziale realizzazione, solo dalla solitaria sopravvivenza dei Punti franchi di Venezia e Trieste e dalla previsione, successiva al fascismo, dei Punti franchi sardi nell’articolo 12 dello Statuto speciale della Sardegna e nell’articolo 14 dello Statuto Valdostano, norme di legge pur di rango costituzionale ma ambedue dopo oltre sessant’anni tuttavia ancora non realizzate.

Nel secondo dopoguerra la questione degli Istituti franchi riemerse sempre per sollecitazione sardista nei lavori preparatori per l’emanazione dello Statuto speciale, all’interno della Consulta regionale sarda e nell’Assemblea costituente che lo avrebbe approvato, annacquato e monco nell’ultima seduta valida e nell’ultimo giorno.

Si scontrarono nella Consulta e nella Costituente due posizioni :

La sardista per la Zona franca estesa a tutta l’isola, coerente con il loro progettare di ‘Autonomia statuale, caratterizzata dalla competenza statutaria su un regime doganale e fiscale libero, tipico del federalismo, autogovernato essenzialmente dalla Regione autonoma che in quei mesi si stava progettando.

Quella portata avanti dalle altre componenti succursaliste dei partiti politiche continentali, riduttiva politicamente ed economicamente perché fieramente contraria all’Autonomismo sardista ed al massimo ispirata ad un blando decentramento amministrativo e non al federalismo.

Questi partiti pur avversari fra di loro erano statalisti e centralisti economicamente, per cui si accordarono per concedere solo i Punti franchi alla nostra isola, predisponendosi a far di tutto affinché in futuro questi non vedessero mai la luce della realizzazione concreta.

Queste ultime componenti politiche, pur eterogenee e ferocemente contrastanti fra di loro perché schierate chi con il Mondo libero e chi con l’Unione sovietica, si unirono su questa posizione per motivi diversi e strumentalmente per distruggere e sostituirsi al PsdAz nel consenso delle masse sarde.

Alcune come i socialcomunisti e le destre di ispirazione fascista e qualunquista erano contrarie all’Autonomia perchè stataliste se non proprio collettiviste, altre come i democratici cristiani ed i liberali erano liberiste ma contrarie al federalismo e quindi tutte centraliste si unirono sulla soluzione riduttiva, che prevalse anche nella Costituente, partorendo i Punti franchi per la Sardegna, alla fine previsti nell’art.12 dello Statuto, concesso tuttavia da Roma a mala voglia e nell’ultimo giorno utile della Costituente.

In seguito, a Costituzione e Statuto speciale approvati, la questione della loro effettiva realizzazione venne affrontata con alti e bassi d’interesse e vennero presentate diverse proposte di legge nel Parlamento e nel Consiglio regionale,sempre principalmente per iniziativa sardista.

Il 1983 fu un anno cruciale nella legislatura iniziata nel 1979 col primo vento sardista e il ritorno nell’Assemblea legislativa di tre Consiglieri regionali sardisti dopo lunghi anni di assenza che pur in pochi oltre a precise proposte sulla Zona franca presentarono anche la prima proposta di legge costituzionale tendente a realizzare il Sardegna il bilinguismo perfetto.

Sempre su spinta sardista fu effettuata dal 9 al 21 gennaio 1983 una molto interessante ma dimenticata dai più, l’indagine conoscitiva sulle Zone franche condotta dalla III Commissione del Consiglio regionale in occasione di un viaggio di studio in Estremo Oriente.

La relazione presentata chiarì allora come la prospettiva sardista di zona franca fosse modernissima suffragata dall’iniziale e grandioso sviluppo dell’economia asiatica che proprio le zone franche stavano permettendo e che sostengono anche oggi.

Venne dimostrato che la zona franca se ben adattata alla Sardegna le avrebbe consentito l’uscita dal colonialismo di sempre e di affrontare con un’alternativa di sistema e c0on un nuovo modello economico e fiscale il crollo già iniziato dell’industria mineraria, metallurgica e petrolchimica che stava devastando l’isola.

La relazione della Commissione fece chiarezza anche su un interrogativo posto senza risposta negli anni precedenti, come e attraverso quale via legislativa e regolamentare poter attuare l’Articolo 12 dello Statuto sardo.

La Commissione, nella sua relazione espresse la convinzione che i Punti franchi della Sardegna si sarebbero potuti istituire con apposite norme d’attuazione governative, su proposta della Regione e successivo accordo nella Commissione paritetica Stato Regione.

Questa soluzione avrebbe permesso di saltare la trafila e gli ostacoli di un passaggio parlamentare a seguito di proposte di iniziative di legge di origine parlamentare o nazionali di iniziativa del Consiglio regionale, valorizzando il protagonismo sardo attraverso un rapporto paritetico e pattizio fra Regione e Stato centrale.

In sardisti elaborarono compiutamente la loro linea politica focalizzando come centrali le questioni della lingua sarda, della zona franca e del nuovo Statuto di sovranità nel Congresso indipendentista di Porto Torres del dicembre 1981 e con i 12 punti di Carbonia , che avrebbe consentito il secondo fortissimo vento sardista delle storiche vittorie elettorali nelle elezioni regionali del 1984 e nelle successive amministrative.

La proposta di zona franca fu sostenuta soprattutto dalla rinnovata delegazione sardista nel Consiglio regionale, forte di 12 consiglieri e dall’impegno di Mario Melis divenuto Presidente della Giunta regionale a guida sardista per tutta la legislatura. dal 1984 al 1999.

La Giunta fece elaborare un progetto di Zona franca per la Sardegna al quale contribuirono i maggiori economisti sardi ed esperti internazionali e la presentò come proposta di legge nazionale di iniziativa regionale tesa a realizzare la zona franca con la vasta modifica dell’articolo 12 dello statuto.

Furono anni di intenso dibattito e di speranze tradite.

La proposta di legge di iniziativa regionale che ne conseguì, approvata dal Consiglio regionale nella seduta del 22 luglio 1998 fu inviata alle Camere ove perì per fine della legislatura.

Fu affossata alla Camera non solo dai partiti di opposizione alla maggioranza che sosteneva Mario Melis ma anche dal mancato sostegno dei partiti presenti in Giunta con Melis, che l’avevano approvata solo per realpolitik ( dopo aver cercato in tutti i modi di non farla arrivare in aula e cercando di respingerla tentando senza riuscirci col tradimento del voto segreto realizzato invece col voto contrario alla legge sulla lingua sarda ) pur mantenendo profonde riserve che mascheravano una radicata contrarietà ideologica di principio per una iniziativa bollata come liberista.

La proposta di legge nazionale, di iniziativa della Giunta, chiariva che la zona franca in Sardegna dovesse essere essenzialmente fiscale e residualmente doganale indicando puntualmente tutte le defiscalizzazioni necessarie, tanto da essere da questo punto di vista attualissima ancora oggi.

Con la riforma statutaria indicava la cornice di nuova e aggiuntiva sovranità fiscale, possibile non a Statuto vigente ma modificandolo con la radicale riforma dell’Art.12 dello Statuto ed quindi prefigurando un nuovo modello istituzionale e di sviluppo per la Sardegna.

Ai tanti che si chiedono ancora oggi, spesso brancolando nel buio della non conoscenza della materia e del loro pressapochismo, quale possa essere la realizzazione delle zone franche sarde in applicazione dell’Art.12 e delle norme di attuazione oggi vigenti, ma anche le particolari nuove regole in materia doganale, fiscale e regolamentare consiglio di leggere almeno quel testo di legge che, fatte salve normali le rughe del tempo, è un vero business plan chiaro ed articolato della Sardegna zona franca.

La Sardegna veniva posta al di fuori della linea doganale dello Stato e l’esecuzione delle norme previste dalla legge con la modifica dell’Art.12 dello Statuto s’intendevano delegate dallo Stato alla Regione sarda per annullarle o stabilire nuove ma molto ribassate in funzione di attrarre capitali e tecnologie e abbattere i costi reali di produzione in compenso dei sovra costi dovuti all’insularità e alla carente di infrastrutture.

Cito solo le principali:

1 ) I diritti di confine: dazi doganali, sovraimposte di confine, prelievi agricoli, restrizioni quantitative e qualitative o qualsiasi tassa di misura o valore equivalente.

2 ) le imposte dirette: irpeg, irpef, ilor;

3 ) le imposte indirette: iva, imposte di registro, invim, imposte catastali, imposte ipotecarie, imposte di fabbricazione, imposte erariali di consumo.

La legge sulla Zona franca era indirizzata sopratutto alle imprese per la produzione, trasformazione ed esportazione ma veniva anche temporaneamente prevista per un periodo da 5 a 10 anni , su concessione del Presidente della Giunta, l’immissione al consumo per necessità locali di prodotti in esenzione doganale e fiscale e di prodotti sempre in esenzione prodotti da imprese locali.

Ad esempio i principali prodotti defiscalizzati sarebbero stato la benzina e il gasolio per l’autostrasporto, il riscaldamento e per il bunkeraggio delle navi, il kerosene avio e gli altri prodotti energetici in esenzione dalle accise e dall’IVA, compresa l’elettricità per tutti gli impieghi.

Il regime di zona franca proposto non escludeva l’obbligo del conteggio e dichiarazione dei diritti di confine e delle imposte dirette ed indirette, che andavano considerati come interamente riscossi dallo Stato, ai fini della determinazione delle entrate da assegnare alla Regione ai sensi dell’Art.8 dello Statuto.

Gli oneri derivanti per l’istituzione e la gestione da parte della Regione della Zona franca sarebbero stati a carico dello Stato e stabiliti d’intesa.

Dopo la fine della IX legislatura del vento sardista, pur avendo il PsdAz conservato in Consiglio regionale 10 dei 12 seggi precedenti, le principali forze politiche italiane in Sardegna la DC e il PCI , dimenticando odi eterni e differenze genetiche millantate per decenni, e i durissimi contrasti durante la giunta Melis, dopo varie convulsioni dovute anche ai riflessi sardi di mani pulite, si allearono nella X legislatura con un patto ad excludendum rivolto contro il PsdAz e la sua partecipazione al governo della Sardegna.

L’intera X legislatura basata sull’accordo DC-PCI fu dedicata allo smantellamento dei principiali progetti delle Giunte del vento sardista, quali la gassificazione del carbone Sulcis, la metanizzazione con partenza dall’Italia, l’elettrificazione e il ridisegno del tracciato delle ferrovie, il bilinguismo e la zona franca con naturalmente l’affossamento di ogni ipotesi di riforma dello Statuto.

Lo spappolamento dei partiti italiani conseguente a mani pulite, anche in Sardegna creo una situazione tale da rendere il PsdAz ritornato nella XI legislatura pur con soli tre consiglieri nel Consiglio regionale ( Bonesu, Sanna e Serrenti ) decisivo, per la prima parte della legislatura alle giunte Palomba, condizionandole al programma sardista ed ottenendo nell’ottobre del 1997 l’approvazione della storica legge regionale n.26 sul bilinguismo a tutela della lingua sarda e delle lingue alloglotte di minoranza.

Venne anche approvata a larga maggioranza la mozione sulla Sovranità della Nazione sarda, e la bandiera dei quattro mori divenne con legge d’iniziativa sardista la bandiera della Regione.

A partire dal 1994 riprese il cammino l’idea della zona franca per merito dell’attivismo sardista dei tre Consiglieri regionali, del gruppo dirigente del Partito sardo d’Azione e dei suoi intellettuali.

Fu determinante allora per ottenere i ottenne i primi risultati concreti la mobilitazione popolare e delle categorie produttive, prevalentemente dell’area cagliaritana, sollecitata con la la consulenza della Fondazione Sardegna Zona Franca e del Comitato zona franca di Cagliari.

Si scelse in quel contesto di operare pragmaticamente in maniera diversa dal passato, spingendo non più verso la via scelta in precedenza che aveva privilegiato le proposte di legge parlamentari e le complesse riforme statutarie, tutte sempre di difficile messa a punto e in pericolo mortale per le sabbie mobili del Parlamento italiano, rivelate teoricamente non sbagliate nei contenuti ma ideologiche, ridondanti ed inefficaci.

Venne seguita la via dell’emanazione delle norme d’attuazione dell’art.12 a legislazione vigente, riconsiderando la proposta della Commissione III del Consiglio regionale successiva al viaggio di studio del 1983 nelle zone franche dell’Estremo oriente.

A seguito delle pressioni sardiste sulla maggioranza, dell’ampio dibattito sulla stampa, nei convegni e incontri e manifestazioni numerosi in tutta la Sardegna che si indirizzavano sulle tesi innovative espresse in un documento sulla Zona franca in Sardegna prodotto dal Comitato di esperti del Comitato Sardegna zona franca, fu sottoscritto un Protocollo d’intesa dalla Regione e dal Governo italiano.

Il Protocollo d’intesa sottoscritto il 21 aprile del 1997 all’Art.5 comma B intitolato Zona franca recitava:

“Il Governo è consapevole che per avviare una complessiva strategia di rilancio del tessuto produttivo dell’isola è auspicabile la nascita di una zona franca che possa essere attrattiva per investimenti nazionali ed esteri”

Il Governo s’impegnava ad accelerare le attività occorrenti al raggiungimento dell’obiettivo ricorrendo alla normativa d’attuazione dello Statuto sardo, mentre la Regione s’impegnava a proporre le necessarie proposte progettuali con tttii nulla osta ed autorizzazioni di competenza.

In breve successivamente si fece finalmente il primo passo concreto in avanti dalla nascita dell’Autonomia speciale quando il Presidente della Repubblica, dopo un accordo nel Comitato paritetico Stato-Regione, su proposta del Governo, con il decreto legislativo 10 marzo 1998 n° 75, emanò le norme d’attuazione dell’articolo 12 dello Statuto speciale della Sardegna, istituendo le Zone franche nei porti di Cagliari, Olbia, Oristano, Porto Torres, Portovesme ed Arbatax e prescrivendo che la loro ampiezza dovesse comprendente aree industriali ad essi funzionalmente collegate e collegabili.

Ancora in seguito con l’Intesa istituzionale di programma del 21 aprile 1999 tra il Governo e la Giunta regionale fu stabilito che si sarebbe dovuto attuare un ulteriore il perfezionamento del sistema di Istituti franchi sardi con la creazione di una Zona franca fiscale per tutta la Sardegna finalizzata all’abbattimento dei costi dei fattori produttivi.

Un ulteriore passo concreto in avanti fu fatto, sopratutto per la forte azione di lobbyng operata da politici ed operatori economici cagliaritani che riuscirono ad ottenere il decreto 7 giugno 2001 del Presidente del Consiglio riguardante ulteriori disposizioni per l’operatività della Zona franca di Cagliari.

Col decreto si stabiliva il perimetro della Zona Franca Cagliaritana e che la sua gestione fosse posta in capo alla Società consortile Cagliari Free Zone che purtroppo ad oggi è ancora inattiva.

Con questi atti, tuttavia ancora oggi privi di efficacia pratica per l’immobilismo dei Governi sardi, delle forze politiche, sociali ed imprenditoriali in materia, veniva però significativamente confermato il superamento dell’ottocentesca definizione di Zona franca doganale, della differenziazione fra punti e zone franche, della’ ipotesi di zone franche localizzate invece di una sola articolata ma generale e corrispondente a tutta l’Isola.

Tenendo conto della reale caratterizzazione a livello mondiale delle zone franche e dell’evoluzione della legislazione Europea e della sua applicazione in tanti paesi membri della UE, veniva sancita per la Sardegna l’importanza decisiva della leva fiscale nel prefigurare la sua zona franca, posto che le barriere doganali sono cadute da tempo a livelli ormai minimi dopo le trattative fra stati per l’eliminazione delle tariffe e barriere doganali e gli accordi mondiali per la libertà di commercio di capitali, beni e servizi.

Arriviamo alla nota dolente.

La delimitazione territoriale e la determinazione di ogni altra disposizione necessaria per la operatività delle altre Zone franche previste con il decreto governativo, ricadenti in territori dov’è altissima la crisi economica, sociale, occupazionale e culturale, quali le Province di Ogliastra, di Gallura, di Sassari, d’Oristano e del Sulcis, interessate alle loro aree portuali e alle zone industriali infra strutturate , devono ancora essere effettuate su proposta della Regione, con separati decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Malgrado la difficilissima e continua situazione economica e sociale attraversata dalla Sardegna, le Giunte Palomba, Floris, Pili, Masala e Soru, come attualmente anche la Giunta Cappellacci ( che pur aveva posto la questione nel suo programma elettorale e affermato successivamente all’elezione la questine zona franca come prioritaria) non hanno provveduto a formulare la proposta di delimitazione delle Zone franche individuate con le norme d’attuazione dell’Art.12 dello Statuto speciale nei porti sardi elencati con precisione nel decreto legislativo né a far decollare la Zona franca di Cagliari, unica che possieda i migliori prerequisiti concreti per farlo, con un deciso e visibile impegno politico del Governo Regionale in tal senso.

Per la verità nel tempo non risulta alcuna azione propositiva o di sollecito da parte della maggioranza delle Amministrazioni provinciali interessate né di Sindaci e Consigli Comunali e tanto meno di Organizzazioni imprenditoriali o sindacali , tranne accenni non convinti in alcuni trascorsi e superatissimi piani di sviluppo provinciali sottoposti nel recente passato all’attenzione della Giunta regionale.

Migliori segnali vengono da una ripresa della questione per iniziative di base, di comitati e consiglieri comunali e provinciali che riescono a far votare ordini del giorno che richiedono la zona franca.

Sarebbe auspicabile a fronte di una generale presa di coscienza sulla questione, l’attivazione, previa un’attenta attività di sensibilizzazione, di specifiche delegazioni territoriali comunali e provinciali che pongano alla Giunta regionale la questione della Zone franche approvate e delle zone industriali adiacenti o collegabili.

L’attuazione delle Zone franche in tutta la Sardegna rappresenterebbe una prospettiva di sviluppo e di apertura della nostra economia ai mercati internazionali, basata sull’attrazione di capitali ed imprese esterne alla Sardegna e sullo sviluppo delle PMI sarde.

Segnerebbe una decisa emancipazione dall’assistenzialismo e dalla rapina di risorse pubbliche messe in opera da imprenditori che pur coscienti delle attuali diseconomie strutturali della Sardegna a causa anche della sua particolare insularità, intraprendono con l’unico scopo di tirare a campare sin ché durano i finanziamenti pubblici, spesso investendone gran parte fuori dall’Isola e chiudendo i cancelli quando i finanziamenti pubblici finiscono.

Con le Zone franche in Sardegna , non gli avventurieri, ma gli imprenditori esterni ed anche molti imprenditori sardi, potrebbero veramente investire e rischiare il proprio con la prospettiva di un vero profitto e sviluppo, godendo di una invidiabile qualità della vita, senza malavita organizzata, invece di investire delocalizzando in Zone franche lontane dall’Italia , spesso a volte anche pericolose.

Si realizzerebbe in particolare per una regione in gravissima crisi qual è la Sardegna un’opportunità per l’imprenditoria isolana e italiana ed un’occasione per la creazione di nuovi posti di lavoro, usufruendo in piccola ma pur significativa parte delle franchigie doganali e in maggior misura di quelle regolamentari e contributive e soprattutto della fiscalità di vantaggio tipica delle zone franche moderne presenti anche in tutta Europa e che hanno contribuito a risolvere con successo gravi problemi di sottosviluppo o riconversione industriale come ad esempio nel Galles, Slovenia, Spagna ed in Irlanda, Cipro e Malta.

Pochi riflettono sull’incidenza delle zone franche negli aeroporti irlandesi, a cominciare da Shannon, nello sviluppo delle linee aeree Low Cost irlandesi e nell’indotto aeronautico e turistica che tanto hanno aiutato fra l’altro a infrangere la prigionia sarda nel trasporto aereo e incrementare i flussi turistici.

Sempre pochi riflettono su come verrebbero risolti alla radice i problemi della continuità territoriale aerea e marittima con l’introduzione della Zona franca nei porti ed aeroporti sardi con la caduta verticale dei costi energetici e delle troppe gabelle fiscali che tanto appesantiscono i costi fissi di gestione e quindi con un abbattimento dei costi ai consumatori ed operatori economici e turistici.

La Sardegna è circondata dalle Zone franche che costellano la costa e l’interno della riva sud del Mediterraneo, dal Marocco alla Turchia compreso Israele e nei Balcani.

Le grandi Isole mediterranee sono Zona franca: la Corsica, Malta, Cipro assieme alle atlantiche, Madeira, Canarie, Irlanda.

Quasi tutte sono sopratutto zone franche fiscali, di produzione, servizi, assicurative, commerciali e finanziarie.

La zona franca delle Canarie è quella che più potrebbe essere presa a modello per la Sardegna con Zone franche industriali e una grande zona franca al consumo e in favore del turismo, dei trasporti, della pesca e delle attività agricole in forza anche di uno specifico statuto speciale fiscale.

Vuole la Sardegna restare senza i propri diritti statutari e la zona franca fiscale?

Sarebbe come condannare la Sardegna al declino totale e sopratutto dichiarare il de profundis per tutte le speranze di sviluppo turistico, dei porti, zone industriali , città e paesi dell’isola fin nell’interno.

Si tratta di una grande battaglia politica e non economicistica ed assistenzialista come in passato.

Da continuare e riprendere con coraggio, intelligenza, spirito innovativo ed azione politica.

Forse una nuova stagione politica favorevole si sta aprendo per la Sardegna anche se indispensabile è la presenza di una diffusa coscienza autonomistica nella società sarda che faccia, oltre alla questione identitaria e linguistica, della Zona franca il perno socio economico di un progetto di transizione da una nuova Autonomia speciale all’Indipendenza, adatta ai nuovi tempi della globalizzazione e dell’Europa che vogliamo ancora si debba costruire, come sosteneva nel ’22 Camillo Bellieni nel secondo Congresso sardista di Oristano, solo nella prospettiva degli Stati uniti d’Europa.

Ritengo per concludere, che vadano oggi superati sia i tentativi del passato anche recente per ottenere la zona franca sarda con progetti di legge che in definitiva è solo il Parlamento a poter graziosamente approvare e concedere, in un rapporto colonialistico con la Sardegna che sembra non debba finire mai.

Come penso che pur dovendone richiedere con forza la attuazione come patti che non si possono eludere, sia superata la via, che pur ha dato i migliori risultati sulla carta, attraverso le norme di attuazione governative dell’art.12 dello Statuto per la realizzazione dei Punti franchi.

In ambedue i casi la Sardegna e le sue Istituzioni sono subalterne ad uno Stato centrale che ha stracciato il patto costituzionale del 1948 e che quindi dovrebbe essere denunciato per passare ad una ricontrattazione globale dei rapporti reciproci con parallelamente un esercizio unilaterale della nostra Autonomia, riprendendoci con atti precisi di volontà e di disubbidienza civile costruttiva quote di sovranità ormai indispensabili sul piano della fiscalità e della lingua e cultura sarde.

Questo perché mentre non si può escludere teoricamente e se le condizioni geopolitiche lo permettessero una separazione consensuale, oggi è lo Stato che sta esercitando una separazione unilaterale e coatta dalla Sardegna, allontanandoci sempre di più dall’Europa e dal nostro sogno di libertà come Nazione.

Sula fiscalità non esercitano nessuna sovranità, non ci viene restituito neanche il dovuto delle tasse che sono nostre e ci spettano, non esercitiamo neppure quella parzialmente garantita dal nostro Statuto nell’Art.12.

Osservo quindi che lo Stesso Statuto sardo è una legge d’attuazione della Costituzione.

Per quale motivo i sardi dovrebbero ancora sottostare alle forche caudine rappresentare dal dover operare per realizzare un diritto chiaro, lampante, storico e costituzionale, come quello della realizzazione dei Punti franchi attraverso delle norme di attuazione di una legge di rango costituzionale di attuazione della Costituzione?

Credo che la via da perseguire sia quella di non attendere più che altri ci concedano diritti che sono nostri e di legiferare direttamente da parte del Consiglio regionale, in piena autonomia e tutt’al più concordando direttamente con l’Unione Europea per quanto utile e necessario.

Per far questo occorre coraggio ed essere sovranisti nella realtà, in concreto, costruendo le alleanze necessarie e un consenso popolare tale da poter anche affrontare uno scontro pacifico, non violento e civile con lo Stato centrale, ove si opponesse.

Tale azione e la mobilitazione che ne potrebbe seguire sarebbero le migliori carte da giocare per ottenere finalmente un nuovo statuto di sovranità e vedere all’orizzonte, più vicina, l’Indipendenza della Sardegna.

Fortza Paris

Mario Carboni

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Documentazione normativa di riferimento

Legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (in Gazz. Uff., 9 marzo, n. 58).

Statuto speciale per la Sardegna

Articolo 12

Il regime doganale della Regione è di esclusiva competenza dello Stato.

Saranno istituiti nella Regione punti franchi.

Decreto legislativo 10 marzo 1998, n. 75 (in Gazz. Uff., 7 aprile, n. 81).

Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Sardegna concernenti l’istituzione di zone franche.

Preambolo (Omissis).

Articolo 1

1. In attuazione dell’articolo 12 dello statuto speciale per la regione Sardegna approvato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, e successive modificazioni, sono istituite nella regione zone franche, secondo le disposizioni di cui ai regolamenti CEE n. 2913/1992 (Consiglio) e n. 2454/1993 (Commissione), nei porti di Cagliari, Olbia, Oristano, Porto Torres, Portovesme, Arbatax ed in altri porti ed aree industriali ad essi funzionalmente collegate o collegabili.

2. La delimitazione territoriale delle zone franche e la determinazione di ogni altra disposizione necessaria per la loro operatività viene effettuata, su proposta della regione, con separati decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri.

3. In sede di prima applicazione la delimitazione territoriale del porto di Cagliari è quella di cui all’allegato dell’atto aggiuntivo in data 13 febbraio 1997, dell’accordo di programma dell’8 agosto 1995 sottoscritto con il Ministero dei trasporti e della navigazione.

DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 7 giugno 2001 (in Gazz. Uff., 31 luglio, n. 176).

Ulteriori disposizioni per l’operatività della zona franca di Cagliari.

Preambolo

IL MINISTRO PER GLI AFFARI REGIONALI

Visto l’art. 12 dello statuto speciale per la regione Sardegna, approvato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, e successive modificazioni, che prevede l’istituzione nella regione di punti franchi;

Visto il decreto legislativo 10 marzo 1998, n. 75, recante norme di attuazione dello statuto della regione Sardegna concernenti l’istituzione di zone franche;

Vista la delimitazione territoriale del porto di Cagliari di cui all’art. 1, comma 3, del sopra citato decreto legislativo n. 75 del 1998;

Considerato che ai sensi dell’art. 1, comma 2, del sopra citato decreto può essere determinata ogni altra disposizione necessaria per l’operatività della zona franca, da effettuarsi, su proposta della regione, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri;

Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 maggio 2000 che, tra l’altro, conferisce al

Ministro per gli affari regionali la delega all’esercizio delle funzioni del Presidente del Consiglio dei Ministri riguardanti l’attuazione degli statuti delle regioni e delle province ad autonomia speciale;

Ritenuto che è necessario emanare ulteriori disposizioni per l’operatività della zona franca di Cagliari;

Vista la proposta della regione Sardegna di cui alle deliberazioni della giunta regionale del 25 luglio 2000 e del 27 febbraio 2001;

Sentiti i Ministeri delle finanze, del tesoro del bilancio e della programmazione economica, dell’industria, del commercio e dell’ artigianato e del commercio con l’estero, dell’interno, della sanità, ed il Dipartimento per le politiche comunitarie;

Decreta:

Articolo 1

1. La zona franca di Cagliari è delimitata secondo quanto previsto dal comma 3 Art. 1, del decreto legislativo 10 marzo 1998, n. 75, così come previsto dall’allegato dell’atto aggiuntivo 13 febbraio 1997 dell’accordo di programma 8 agosto 1995, sottoscritto con il Ministero dei trasporti e della navigazione.

2. Nella zona franca è autorizzata qualsiasi attività di natura industriale o commerciale o di prestazione di servizi, così come previsto dalle disposizioni del codice doganale comunitario e dalle relative norme di applicazione, dalle quali restano disciplinate le operazioni di introduzione, deposito, manipolazione,esportazione e riesportazione delle merci.

Articolo 2

1.Il soggetto gestore della zona franca di Cagliari è individuato nella soc. cons. per az. “Zona franca di Cagliari”, che userà il marchio d’impresa “Cagliari Free Zone”, con sede in Cagliari, viale Diaz n. 86.

2. Il soggetto gestore assume, sotto la propria responsabilità compiti di gestione e organizzazione della zona franca di Cagliari a tempo indeterminato.

3. I relativi programmi annuali devono essere approvati dalla giunta regionale su proposta dell’assessore competente in materia di industria di concerto con l’assessore competente in materia di programmazione.

Articolo 3

1. Ai fini dello svolgimento dell’attività di controllo prevista dalla legge, viene identificata nella Direzione della circoscrizione doganale di Cagliari l’autorità doganale competente. Ad essa dovrà fare riferimento il soggetto gestore indicato, salvo espresse deroghe di competenza previste nel presente decreto o in successive modificazioni.

Articolo 4

1. Il gestore si impegna a provvedere alla materiale delimitazione territoriale dell’area sulla quale insistela zona franca.

2. Tale attività di delimitazione si estrinseca nella costruzione della recinzione della zona franca, nell’individuazione di varchi di ingresso e uscita secondo criteri e modalità stabiliti d’intesa con l’Autorità doganale, nel mantenimento della recinzione, nell’esecuzione di tutte le opere che venissero richieste dall’amministrazione doganale per il sicuro esercizio della vigilanza, nella predisposizione di idonea segnaletica, nella fornitura gratuita dei locali necessari a norma di legge per le esigenze degli uffici doganali e ferroviari e per il personale di vigilanza, nonché, nella ordinaria manutenzione, illuminazione e climatizzazione dei locali stessi.

Articolo 5

1. L’autorità doganale provvede ad eseguire i controlli del perimetro della zona franca nonché i controlli ai varchi di ingresso e di uscita della zona franca. A tale scopo essa si avvale di sistemi informatizzati e di tessere di riconoscimento del personale autorizzato ad operare nell’area.

2. Il soggetto gestore provvede tempestivamente a mettere a disposizione dell’autorità doganale tutti i supporti tecnici, informatici ed operativi necessari per svolgere le citate attività di controllo.

Articolo 6

1. Al fine di consentire all’autorità doganale il controllo, nel rispetto della normativa comunitaria, sulle merci in entrata ed in uscita dalla zona franca, una copia del documento di trasporto delle merci e la lista delle imprese operanti nella zona franca sono tenute presso il soggetto gestore a disposizione dell’autorità doganale.

2. Nella zona franca il personale doganale, in base alle vigenti disposizioni di legge, è abilitato all’accertamento dei reati e delle altre violazioni, la cui applicazione è demandata all’Agenzia delle dogane ed ha facoltà, fermo restando l’esercizio dei controlli sulle merci previsti dalle norme comunitarie, di accedere, in qualunque momento negli stabilimenti, nei magazzini, nei recinti e negli altri esercizi esistenti nella zona franca per eseguire accertamenti sulle merci depositate o in lavorazione ed ispezionare libri, registri e documenti commerciali e di trasporto.

Articolo 7

1. Il soggetto gestore provvede a predisporre entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto un piano operativo della zona franca che garantisca i servizi comuni e la collocazione logistica degli spazi da adibire a servizi generali.

2. Il piano operativo della zona franca deve essere trasmesso all’Autorità doganale di Cagliari per eventuali osservazioni da formularsi entro sessanta giorni dalla ricezione.

3. Il piano, corredato delle eventuali osservazioni pervenute, è quindi trasmesso all’assessore competente in materia di industria per la definitiva approvazione da parte della giunta regionale.

Articolo 8

1. Al fine di agevolare l’attività dell’operatore economico che intende stabilirsi all’interno della zona franca, il soggetto gestore provvede a predispone apposite pubblicazioni informative da sottoporre all’approvazione preventiva dell’Autorità doganale, anche in occasione di modifiche e/o aggiornamenti delle stesse.

Articolo 9

1. È compito del soggetto gestore svolgere l’attività promozionale della zona franca, volta all’attrazione degli investimenti pubblici e privati.

2. Il soggetto gestore promuove forme di collaborazione con le amministrazioni pubbliche coinvolte e i rappresentanti del mondo imprenditoriale.

Articolo 10

1. Le richieste da parte dei soggetti economici per operare all’interno della zona franca sono presentate al soggetto gestore ed inviate per conoscenza all’assessorato dell’industria della regione autonoma della Sardegna.

2. Il soggetto provvede ad effettuare una istruttoria preliminare delle domande verificando la disponibilità dell’area per l’intrapresa economica e la compatibilità dell’iniziativa col programma di cui alprecedente art 2 , e le trasmette all’Autorità doganale. Quest’ultima provvede a rilasciare le autorizzazioni preventive all’esercizio dell’attività all’interno della zona franca, come previsto dal codice doganale comunitario.

Articolo 11

1. In ordine alle autorizzazioni preventive da parte dell’autorità doganale previste dai regolamenti comunitari CEEn. 2913/92 del Consiglio che istituisce il codice doganale comunitario e CEE n. 2454/93 della Commissione che fissa talune disposizioni d’applicazione del codice doganale comunitario, si applicano i termini previsti dal decreto del Ministro delle Finanze 19 ottobre 1994, n. 678.

2. Per la movimentazione delle merci in entrata ed in uscita della zona franca e per ogni altro aspetto rilevante ai fini della sicurezza fiscale sarà redatto apposito disciplinare da parte dell’Autorità doganale.

Articolo 12

1. Fatte salve le funzioni di competenza dell’Autorità doganale e dell’Autorità portuale, la regione determina gli indirizzi generali per l’attività del soggetto gestore.

Articolo 13

1. Restano ferme le disposizioni del codice della navigazione e delle altre leggi e regolamenti relativi all’uso delle aree pertinenti al demanio pubblico marittimo, all’esercizio della polizia marittima e ai controlli di profilassi internazionale. Restano ferme altresì le disposizioni di cui alla legge 28 gennaio 1994, n. 84, e successive modificazioni, concernenti il riordino della legislazione in materia portuale.

Decreto Presidente della Repubblica – 23/01/1973 , n. 43 – Gazzetta Uff. 28/03/1973, n.80
TITOLO I
DISPOSIZIONI GENERALI
CAPO I
DETERMINAZIONE DEL TERRITORIO DOGANALE

Art.1
Linea doganale.
Il lido del mare ed i confini con gli altri Stati costituiscono la linea doganale.
Lungo il lido del mare, in corrispondenza delle foci dei fiumi e degli altri corsi d’acqua nonché degli sbocchi dei canali, delle lagune e dei bacini interni di ogni specie, la linea doganale segue la linea retta congiungente i punti più foranei di apertura della costa; in corrispondenza dei porti marittimi segue il limite esterno delle opere portuali e le linee rette che congiungono le estremità delle loro aperture, in modo da includere gli specchi d’acqua dei porti medesimi.
Nel tratto fra Ponte Tresa e Porto Ceresio e nella zona di Livigno la linea doganale, anziché il confine politico, segue rispettivamente le sponde nazionali del lago di Lugano e la delimitazione del territorio del comune di Livigno verso i comuni italiani ad esso limitrofi. Il confine politico che racchiude il territorio del comune di Campione d’Italia non costituisce linea doganale (1).
(1) Comma così modificato dall’art. 1, d.p.r. 16 dicembre 1977, n. 960.

Art.2
Territorio doganale e territori extra-doganali.
Il territorio circoscritto dalla linea doganale costituisce il territorio doganale.
Il mare territoriale è considerato come territorio doganale, eccetto per quanto concerne l’impiego ed il consumo dei macchinari, materiali ed altri prodotti di cui all’art. 132. Agli effetti doganali le acque marittime comprese fra il lido e le linee di base di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1977, n. 816, sono assimilate al mare territoriale (1).
È altresì considerato come territorio doganale lo spazio aereo sottoposto alla sovranità dello Stato.
I territori dei comuni di Livigno e di Campione d’Italia, nonché le acque nazionali del lago di Lugano racchiuse fra la sponda ed il confine politico nel tratto fra Ponte Tresa e Porto Ceresio, non compresi nel territorio doganale, costituiscono i territori extra-doganali.
Sono assimilati ai territori extra-doganali i depositi franchi, i punti franchi e gli altri analoghi istituti, di cui agli articoli 132, 164, 166 e 254.
Sono fatti salvi gli speciali regimi fiscali vigenti nel territorio della Valle d’Aosta ed in quello della provincia di Gorizia, dichiarati “zona franca” rispettivamente con l’art. 14 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4

Statuto speciale Val D’Aosta

Articolo 14
Il territorio della Valle d’Aosta è posto fuori della linea doganale e costituisce zona franca.
Le modalità d’attuazione della zona franca saranno concordate con la Regione e stabilite con legge dello Stato.

e con l’art. 1 della legge 1° dicembre 1948, n. 1438.

Art. 1.

Il territorio della provincia di Gorizia, compreso tra il confine politico ed i fiumi Vipacco ed Isonzo, e l’area recintata del Cotonificio Trestino, posta sulla sponda destra dell’Isonzo, sono considerati, fino al 31 dicembre 1957, fuori della linea doganale e
costituiti in zona franca.
(1) Comma così modificato dall’art. 1, d.p.r. 16 dicembre 1977, n. 960.

INTESA ISTITUZIONALE DI PROGRAMMA TRA IL GOVERNO DELLA REPUBBLICA
E LA GIUNTA DELLA REGIONE AUTONOMA DELLA SARDEGNA
Roma, Palazzo Chigi, 21 aprile 1999

c) Entrate regionali, regime fiscale, zona franca
c.2) verifica delle condizioni per l’introduzione sul territorio regionale di misure volte a realizzare, compatibilmente con la normativa comunitaria adottata per altre Regioni Europee una zona franca fiscale finalizzata all’abbattimento dei costi dei fattori produttivi;

Regolamento istitutivo del Codice doganale comunitario
Articolo 800

La costituzione di una parte del territorio doganale della Comunità in zona franca o la creazione di un deposito franco può essere richiesta da qualunque persona alle autorità doganali designate a tale scopo dagli Stati membri.

Mario Carboni