Lo scopo di questa ricerca è di analizzare la normativa del Porto franco di Trieste e di comprenderne le peculiarità che lo rendono un caso unico nel contesto europeo. A tal fine, la ricerca non potrà che esordire con l’analisi dell’evoluzione nei secoli delle forme di zone franche, porti franchi e città franche per comprenderne le caratteristiche e le funzioni. Come si vedrà nel primo capitolo, in cui verrà ricostruita anche la storia del diritto doganale, le prime forme di zone franche hanno origini molto antiche: secondo alcuni risalirebbero addirittura al III secolo a.C. e sono state, nei secoli, ampiamente impiegate a scopi differenti. L’evoluzione della disciplina in materia ha portato nel tempo al moltiplicarsi di differenti tipologie di zone franche che non prevedevano più, o non soltanto, vantaggi dal punto di vista dell’esenzione dai dazi, ma anche sgravi fiscali. Si è passati quindi dall’originaria zona franca che aveva lo scopo principale di incentivare il commercio e di far fiorire porti o città in decadenza, anche a discapito delle regioni vicine, a forme nuove di zona franca e di zona economica speciale, di più recente formazione, che hanno tutta una serie di obiettivi nuovi rispetto al passato. Si tratta, tra gli altri, alternativamente o cumulativamente, dell’attrazione di investitori esteri o nazionali, dell’aumento della competitività delle imprese site in quell’area geografica, dell’aumento delle esportazioni1, dell’abbassamento del tasso di disoccupazione2, dell’accelerazione di un programma di sviluppo economico o di rafforzare il tessuto produttivo stimolando la crescita industriale e dell’innovazione3, ma non sempre tali risultati sono stati raggiunti4. Ma oltre alla storia della genesi delle zone franche in generale, la ricerca analizzerà altresì le origini del Porto franco di Trieste, la cui particolarità consiste proprio nella molteplicità di fonti normative ed ordinamenti differenti che hanno nei secoli disciplinato la materia. Negli anni, infatti, esso è stato sottoposto alle normative emanate dall’Impero austro-ungarico, dal Regno d’Italia, dal Governo Militare Alleato, dal Commissario Generale del Governo per i Territorio di Trieste ed infine dalla Repubblica Italiana. E sono proprio le sue origini internazionali a determinarne l’eccezionalità: il Porto franco di Trieste è, infatti, l’unico porto in Italia fondato non sulla normativa nazionale o su quella europea, bensì su un trattato internazionale antecedente alla stessa nascita della Comunità europea. La ricerca esamina poi alcuni concetti generali del diritto doganale (capitolo secondo), tra cui l’unione doganale e la sua evoluzione, l’estensione del territorio doganale dell’Unione europea, i concetti di dazi e l’Iva all’importazione, i regimi doganali, necessari a comprendere il quadro più generale in cui si va ad inserire la zona franca. Un ulteriore aspetto che verrà approfondito è quello semantico: si è riscontrata, infatti, la mancanza di un’uniformità lessicale a livello internazionale in cui i termini di zona franca e zona economica speciale vengono spesso confusi oltre al fatto che, affianco a tali due nozioni, nel tempo, si sono sviluppate ulteriori tipologie di zone economiche speciali e, soprattutto, innumerevoli definizioni per indicarle. Tale eterogeneità lessicale, peraltro, non corrisponde ad un’equivalente varietà di fattispecie di zone franche, ma è frutto di un’assenza di comunicazione tra stati, probabilmente determinata sia dalle loro antiche origini che hanno portato le singole realtà a mantenere regolamentazioni e termini propri, sia dalla mancanza di una definizione riconosciuta a livello internazionale da tutti (o almeno gran parte) degli Stati. Sarebbe invece utile, per molteplici ragioni, riuscire a raggiungere una terminologia riconosciuta a livello internazionale al fine di evitare incomprensioni e di eliminare dubbi in merito a definizioni e classificazioni delle zone franche e delle zone economiche speciali. Per tale motivo, nel terzo capitolo, si tenterà di ordinare i differenti termini utilizzati e verrà proposta una classificazione delle varie fattispecie di zone economiche speciali. Sarà chiaramente oggetto di studio anche la disciplina delle zone franche comunitarie, attualmente regolate dal Regolamento (UE) n. 952/2013, alla quale gli stati membri hanno adeguato le proprie normative interne. In tale contesto, verranno esaminati anche i vantaggi che caratterizzano le zone franche disciplinate dalla normativa dell’Unione al fine poter poi comparare la normativa dell’Unione europea con quella speciale in vigore nel Porto franco di Trieste. Infine, nel quarto capitolo, verrà esaminata l’evoluzione normativa fino ad arrivare all’odierna disciplina dei punti franchi di Trieste analizzando le motivazioni per cui, pur a fronte dell’unione doganale e delle previsioni di armonizzazione della disciplina anche in materia di zone franche, i punti franchi di Trieste rimangono tuttora regolati da una normativa speciale di fonte internazionale. La fonte normativa è, infatti, tuttora il Trattato di pace di Parigi del 1947 con cui le Potenze Alleate imponevano una serie di condizioni all’Italia, tra cui, all’Allegato VIII, lo «Strumento relativo al Porto Franco di Trieste». Con tale atto, le Potenze Alleate, riconoscendo l’importanza del Porto franco di Trieste per il commercio internazionale, decidevano di mantenere le franchigie previste sotto l’Impero austro-ungarico. Ma, come si vedrà, l’Allegato VIII andò ben oltre la mera riproposizione del regime previgente, sia per il fatto che la disciplina era contenuta, questa volta, in un atto di rango internazionale, sia per la previsione della futura istituzione di un vero e proprio «ente Porto franco» (concepito in maniera innovativa come un ente dotato di personalità giuridica). L’internazionalità della normativa del Porto franco di Trieste si ripercuote inevitabilmente anche sullo scopo della sua istituzione individuato dall’Allegato VIII nell’utilizzo del porto «in condizioni di eguaglianza da tutto il commercio internazionale» (art. 1), scopo che chiaramente lo distingue dalle zone franche dell’Unione europea. La disciplina del Porto franco di Trieste è stata più volte oggetto di contestazioni per il suo regime doganale di vantaggio rispetto a quello dell’Unione europea che ha portato il Tribunale ed il TAR di Trieste, ma anche il Consiglio di Stato, a ribadire l’applicazione in tali aree della normativa speciale di fonte internazionale. In tale contesto verrà analizzata la normativa del Porto franco di Trieste prevista dall’Allegato VIII e dal Memorandum di Londra, ed i recenti riferimenti contenuti nella legge di stabilità 2015 e nel decreto interministeriale del 13 luglio 2017. Quest’ultimo decreto, infatti, ha finalmente disciplinato l’organizzazione amministrativa del Porto franco di Trieste e, grazie alla previsione della legge di stabilità (art. 1, commi 618, 619 e 620), ha permesso il trasferimento del regime giuridico dei punti franchi ad altre aree.


  • 1 Sui vantaggi apportati dalla creazione di Zone economiche speciali (ZES) all’esportazione v. R. B. Davies – A. Mazhikeyev, The impact of Special economic zones on exporting behavior, Working paper n. 201528, School of economics, novembre 2016, University College Dublin (in www.researchrepository.ucd.ie); Special economic zones. Performance, lessons learned, and implications for zone development, The World Bank Group, 2008, p. 32 ss. e Special Economic Zones. An operational review of their impacts, The World Bank Group, 2017, p. 19 ss.
  • 2 Sulla scelta di localizzazione delle ZES nelle zone urbane (per far fronte alla disoccupazione causata dalla migrazione dalle zone rurali a quelle urbane) o nelle zone rurali (per evitare la predetta migrazione) e sugli effetti della loro creazione sulla disoccupazione cfr. K. Miyagiwa, The locational choice for free-trade zones. Rural versus urban option, in Journal of Development Economics 40, 1993, p. 187 ss.
  • 3 È stato osservato che i vantaggi che derivano ad un’area dalla costituzione di una zona economica speciale vanno ben oltre quelli di natura economica, specie nel caso in cui si tratti di paesi in via di sviluppo. L’insediamento di nuove imprese e l’occupazione di popolazione locale porta, infatti, competenze e conoscenze nuove ai lavoratori. Cfr. in tal senso J. White, Fostering Innovation in Developing Economies through SEZs, in Special Economic Zones, Progress, Emerging Challenges, and Future Directions, T. Farole – G. Akinci Editors, 2011, p. 184 ove si afferma che «In developing countries, SEZs often are associated with low wages and low-skill production capabilities that typically are set up to build on the comparative advantage of cheap labor to expand the export base. Experience shows, however, that in addition to the direct economic benefits that can be derived from boosting trade, including employment generation and increasing exports, SEZs also can carry indirect economic benefits, which in turn can drive local innovation. Indeed, while attracting “content-rich” FDI and stimulating trade, SEZs tend to favor the acquisition of international knowledge and know-how, which are crucial to the development of innovation capabilities. Furthermore, the local interactions set in motion by SEZs appear particularly well-suited to innovation, which greatly benefits from local-level interactions».
  • 4 Così si è espresso l’UNCTAD che nel WIR 2019 (World Investment report), p. XIII, di cui si dirà nel terzo capitolo, osserva: «the performance of many zones remains below expectations. SEZs are neither a precondition nor a guarantee for higher FDI inflows or GVC participation. Where they lift economic growth, the stimulus tends to be temporary: after the build-up period, most zones grow at the same rate as the national economy. And too many zones operate as enclaves with limited impact beyond their confines». Negli stessi termini si sono espressi anche B. Brundu, Zone franche: sviluppi e orientamenti geoeconomici. La Sardegna al centro del Mediterraneo, Milano, 2017, p. 24; D. Madani, A Review of the role and impact of export processing zones, The World Bank, 1999, p. 21-22; A. Aggarwal, SEZs and economic transformation: towards a developmental Approach, in Transnational corporations, vol. 26, 2019, n. 2, p. 42 ss. Per un’analisi obiettiva dei vantaggi e delle pecche del sistema rispetto al caso pratico della Russia v. A. Kuznetsov – O. Kuznetsova, The success and failure of Russian SEZs: some policy lessons, in Transnational corporations, vol. 26, 2019, n. 2, p. 117 ss.